schede film

Scheda film IL DIRITTO DI CONTARE
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                                               SCHEDA FILM "UNA VOLTA NELLA VITA"



 




Edward mani di forbice (da Movieplayer.it)
Questa pellicola può essere considerata la più rappresentativa e matura di Tim Burton, la storia semplice e allo stesso tempo complicata, possiede il fascino e la magia di una vecchia fiaba, di quelle che si sentono raccontare dai nonni attorno al caminetto, magari mentre fuori nevica... 
I temi trattati sono di una ricchezza incredibile ed è difficile descriverli tutti! Se la base del film sembra la classica parabola sul diritto a essere diversi, sulla libertà di sognare e sul trionfo dell'innocenza, la trattazione appare originalissima, impreziosita da elementi folli e surreali che fanno da marchio inconfondibile delle opere burtoniane.
Veniamo catapultati nell'atmosfera poetica del film già dai primi fotogrammi, il simbolo della 20th Century Fox diventa particolarmente bello, ghiacciato, blu sotto una nevicata incessante e ci accoglie, come di consueto, prima dei titoli iniziali; la curiosità dello spettatore viene solleticata dalla musica di 
Danny Elfman, onirica e dolce, che introduce i credits, mentre l'attenzione va focalizzandosi sul percorso intrapreso dalla camera all'interno di un edificio inquietante, man mano che ci si addentra le tenebre vengono squarciate e si palesa una realtà dominata dalle nuances in contrasto del bianco e del nero: ripide scale, enormi forbici, robot immersi nel fumo e insoliti marchingegni si alternano sullo schermo, via libera alla fantasia! alcuni biscotti bianchi e blu compaiono e scompaiono davanti ai nostri occhi, mani d'alabastro dominano la scena e poi il viso di Vincent Price, sereno, aristocratico e dormiente, punto focale dell'intero racconto, sfila per ultimo quindi si dissolve tra i fiocchi di neve. 
Il film si snoda sotto forma di racconto: una nonna spiega alla nipotina l'origine della neve, intanto un coro celestiale e lontano canta il mistero dell'inverno che avanza, d'incanto ci ritroviamo sulla sommità di una collina di fronte alle porte di un antico maniero che piano piano si aprono, rivelandoci un mondo fatto di strane macchine e colori lunari. L'indimenticabile Vincent Price, nelle vesti di un amorevole inventore, è intento ad ultimare la sua creazione più perfetta: Edward, un robot dotato di gentilezza, buoni sentimenti, spirito romantico, in altre parole possiede qualcosa che molti uomini "normali" hanno dimenticato di avere: Ed ha un cuore. Purtroppo il papà/inventore muore prima di aver portato a termine il proprio lavoro: la fantastica creatura rimane incompiuta, priva di mani condannata ad utilizzare al loro posto delle enormi lame di forbici... così per l'automa, col viso da delicato Pierrot, comincia una vita all'insegna della solitudine, recluso nel suo eremo gotico fino a quando un giorno non viene scovato da una rappresentante di cosmetici che decide di farlo entrare in società. Ed varca le soglie del misterioso castello come fossero un passaggio tra la dimensione del sogno e quella della realtà, purtroppo però il legame tra i due mondi è impossibile: la realtà predomina sempre sulla fantasia! 
Edward, come un sogno disceso sulla terra, attraversa un mondo crudele e spietato prima di far ritorno alla salvifica solitudine eterna del suo castello, ma una volta a casa non potrà fare a meno di compiere un ultimo amabile gesto e donerà al mondo, dal quale è stato rifiutato, umiliato ed emarginato, la neve e i sogni di cui è privo.
Burton con questa fiaba in forma moderna muove delle critiche precise e spesso violente alla società dei benpensanti, alla gente "normale", ai borghesi chiusi nelle proprie certezze, persi nella propria routine, immersi in un mondo di estrema banalità. Il film è disseminato da constatazioni dure sulla natura umana, sulla realtà che ci circonda, dipinta a vivaci tinte pastello in stridente contrasto con la tristezza che viene fuori da un'umanità appiattita dal grigiore di schemi convenzionali ai quali non può sfuggire, e dal trattamento riservato al diverso costretto ad uniformarsi o a vivere lontano dagli altri in una solitudine infinita. Edward è un personaggio complesso, a molti è sembrato il simbolo dell'artista romantico, colui che impossibilitato a comunicare con il resto del mondo lascia una traccia di sé grazie alle sue opere d'arte, e preferisce fuggire e cercare la propria salvezza lontano dalla realtà da cui è incompreso ed oppresso, lontano da tutto ciò che è "normale", per andare a rifugiarsi in un universo frutto della sua fantasia, in questo senso Edward è molto vicino ad un altro grandioso personaggio burtoniano: Vincent, il tormentato piccolo Vincent Malloy, bambino solitario che vive in preda a folli allucinazioni credendo di essere Vincent Price; nel cortometraggio il suo volto cambia repentinamente sembianze a volte pare il ritratto di un giovane Burton (la vicenda è in parte autobiografica) a volte si trasforma in Price. Il lato dark del personaggio è evidenziato dalle costanti citazioni da Allan Poe, dalla ambientazione gotica e dal bianco e nero. Il racconto si conclude con l'impossibilità per il protagonista di evadere dal sogno, quindi non gli rimane altro che continuare ad impersonare Vincent Price figura a cui si associa quella di Poe, per i ruoli interpretati dall'attore nei film di Corman, e in tal modo si ritorna ad esaltare l'idea dell'artista outsider.
Ma Edward è anche l'emblema di un certo cinema horror quello di 
Dracula, diFrankenstein[FILM], de [FILM]La Mummia e di King Kong, esseri mostruosi che spopolavano sugli schermi negli anni '30. Figure dalle orribili fattezze capaci di spaventare un pubblico che non riesce ad andare oltre le apparenze (questo è il vero orrore!) e non si rende conto che i protagonisti di quelle strane vicende sono mossi da sentimenti puri e ingenui come la smania di essere accettati dalla società e il desiderio di inseguire un sogno d'amore per il quale si sacrificano. 
Infine Edward siamo tutti noi nei momenti di solitudine quando ci sentiamo dimenticati, non amati e vaghiamo, come esseri invisibili, tra una folla egoista e ipocrita che ci rifiuta se non assecondiamo i suoi dettami.


Le scene più belle (da Movieplayer.it)
Alcuni dei momenti più toccanti del film sono i ricordi di Edward nel castello a contatto con l'inventore, e anche le scene che illustrano la tenera storia d'amore tra Kim ed il protagonista, c'è un elemento comune ad entrambi i passaggi cioè l'atmosfera natalizia che invece di portare pace e serenità preannuncia situazioni dai risvolti tragici.
La sera di Natale l'inventore vuole fare ad Edward la sorpresa più attesa: delle mani, finalmente sarà umano in tutto! Sono mani che appaiono splendide, perfette, e negli occhi di Edward si leggono gioia e riconoscenza profonde. Il vecchio demiurgo si lascia trasportare da questi sentimenti così forti ma il suo cuore non regge e all'improvviso muore, così in un istante brevissimo felicità e tristezza quasi coincidono, le speranze si infrangono, l'impatto emotivo di questa sequenza è traumatizzante, tanto ci si identifica col protagonista che si ha una gran voglia di piangere, il sogno della "normalità" svanisce e la drammatica realtà prende il sopravvento materializzandosi nel sangue che tinge le lame di Ed mentre quest'ultimo accarezza il viso del suo papà; non una parola, non un lamento da parte di Ed, solo uno sguardo attonito, disperato, colpisce nel profondo lo spettatore più di mille strazianti grida di dolore.
Altra sequenza degna di menzione é quella denominata Ice Dance, ancora una volta è la notte di Natale, ma adesso ci troviamo a passarla in compagnia della famiglia adottiva di Ed. Il nostro sfortunato eroe con gesti decisi e perfetti trasforma blocchi di ghiaccio in geniali sculture, mentre lavora si sprigionano fiocchi di neve e una romantica Kim, affascinata dall'abilità dell'artista e dal fenomeno più o meno meteorologico a lei sconosciuto, danza con lievità e grazia accompagnata dalla soave melodia composta da 
Danny Elfman, musica ed immagini si compenetrano in modo incredibile, lo spettatore totalmente coinvolto è proiettato all'interno di un sogno così dolce che rinfranca lo spirito e fa scomparire, per un attimo, la tediosa realtà. Ma contrapposto a questo trionfo della struggente magia del sogno si prospetta il finale decisamente violento. Un'esplosione di rabbia trasforma Edward, vessato dalla cattiveria e dall'incomprensione di chi lo circonda, in un essere pauroso che comincia a distruggere la casa che lo ospita e poi fugge seminando il panico nell'intero quartiere, una reazione così forte lascia spiazzati perché Edward è stato fino a quel momento, troppo tenero, gentile e remissivo ma il suo comportamento non ha sortito altro effetto che quello di essere emarginato e preso in giro dai suoi "bravi" concittadini, e adesso reagisce in maniera inaspettatamente dura. Soltanto Kim riesce a comprendere fino in fondo il dramma vissuto dal suo amico, ma purtroppo solo alla fine, quando ormai tutto è perduto, si rende conto di amarlo, e pur di salvargli la vita sacrifica il loro romantico amore che rimane per sempre un bellissimo sogno. Intenso e struggente resta l'abbraccio tra i due protagonisti - "Stringimi" dice Kim. "Non posso" risponde malinconico Ed, senza dir altro Kim lo abbraccia ugualmente- ancora una volta per pochissimi istanti i due mondi, quello fantastico e quello reale, sembrano poter comunicare ma ancora una volta la conclusione è crudelmente realista, il distacco inevitabile.
Ma oltre ad essere commovente questa pellicola possiede una notevole carica ironica, Burton non può fare a meno di sdrammatizzare alcuni dei passaggi più tristi ricorrendo al suo inconfondibile humour, a personaggi folli e a trovate geniali. Alcune scene irresistibili sono: il ritorno a casa, piuttosto movimentato, di Kim dopo la vacanza, la festa con barbecue in onore di Ed, la tosatura dei cani e anche la prima sbronza di Edward.


Francesco Rufo
Guida al cinema per ragazzi
Edward mani di forbice è una fiaba sulla diversità, sul rapporto tra la massa e l’individuo che da essa si distingue. Edward è il modello degli eroi del cinema di Burton. È introverso, solitario. Agli occhi degli altri, dei normali, è un mostro, un diverso. Nella sua diversità è speciale, dotato di qualità e sensibilità eccezionali. È chiuso nel suo castello, nel suo spazio esclusivo, nel suo mondo, ma sogna di uscirne, di aprirsi all’esterno, di integrarsi nel consesso umano. Così varca la soglia che divide il suo mondo da quello degli altri. Edward rappresenta l’adolescente, o meglio un tipo di adolescente. Come Edward, l’adolescente è un individuo incompiuto, non più bambino, non ancora adulto; ha in sé il seme della diversità, della creatività, della sensibilità, la pulsione naturale a superare regole, apparenze, convenzioni. Edward è il modello dell’adolescenza come età in cui lo sviluppo di un’intensa vita interiore può portare all’isolamento. Nel mondo esterno Edward presenta la sua diversità. È come un bambino, che deve imparare le regole della società. Ma la sua diversità è soprattutto fisica, dovuta alle forbici, segno della sua incompiutezza e simbolo dell’impossibilità di comunicare, di avere contatti umani. Tuttavia questo handicap si rivela per Edward una risorsa, per la sua abilità nell’intagliare. Egli si afferma con la sua creatività, col fare arte. L’incontro con Edward produce negli altri diverse fasi di reazione: prima l’attrazione curiosa; poi lo sfruttamento; infine il rifiuto e l’espulsione. La società giunge a voler cancellare la diversità dacché la vede come pericolosa per i propri equilibri. Così Edward torna a chiudersi nel mondo da cui è venuto. Ma continuerà a tagliare blocchi di ghiaccio, a far scendere la neve sulla città, a mantenere un contatto, sia pure labile, con il mondo esterno.


Presentazione Critica (da Centro nazionale di documentazione e analisi per l'infanzia e l'adolescenza)

C’è una scena che, forse più di ogni altra, fornisce la dimensione della disparità esistente tra Edward mani di forbice e il mondo apparentemente perfetto che lo circonda nella cittadina in cui ormai, dopo l’adozione di fatto nella famiglia di Billy e Peg, si trova a vivere la sua esistenza ‘normale’. Subito dopo il furto che Jim lo ha costretto a tentare nell’abitazione dei suoi genitori e la conseguente scarcerazione, Edward ritorna in famiglia. Durante la cena, il momento in cui il nucleo domestico si riunisce e si confronta, Billy cerca di fare una superficiale lezione di morale al povero e silente Edward, chiedendogli che cosa farebbe nel caso ritrovasse una borsa piena di soldi lungo una strada, ponendogli come condizioni la possibilità di tenere il denaro, di comprare regali per i propri amici, di donare i soldi ai poveri oppure di restituire l’oggetto dello smarrimento alla polizia. Kevin, non interrogato, sostiene dapprima che avrebbe tenuto i soldi, poi consiglia scaltramente a Edward che la risposta ‘giusta’ è dire di restituirli alla polizia. Edward, invece, molto candidamente, opta per la seconda possibilità, quella di utilizzare il denaro per comprare regali per gli amici e per le persone care.Questa è la differenza esistente tra Edward e la variopinta comunità cittadina: ognuno si preoccupa del suo interesse nascondendolo dietro una patina di necessaria rispettabilità. Così fa Joyce, attratta da ogni uomo per disposizione, che cerca di irretire Edward salvo poi ribaltare la situazione in gioco dicendo di aver rischiato l’abuso sessuale in modo da salvare il suo presunto decoro; così fa Jim, il quale vuole appropriarsi delle ingenti ricchezze di cui i genitori lo tengono escluso, lasciando che la comunità della cittadina pensi che Edward sia colpevole per salvarsi da una pena certa e dal violento rimbrotto del padre; così fanno tutte le conoscenti di Peg, dapprima entusiaste del nuovo arrivato perché veicolo per sottrarsi alla monotonia di un’esistenza sempre uguale a se stessa, basata sul pettegolezzo e sull’invidia, successivamente refrattarie e timorose per la loro stessa incolumità nei confronti di quello che, improvvisamente, si era trasformato in un mostro assetato di sangue, soltanto perché l’apparenza, che tutto regola, aveva fatto in modo che Edward sembrasse tale.Il principio di Edward, aldilà di qualunque risposta abbia fornito al test sulla morale di Billy, è invece il candore con il quale si rapporta con le persone: egli non conosce né legge delle apparenze (così come simbolicamente è sottolineato dall’impossibilità di cancellare le cicatrici che il ragazzo si è volontariamente autoinferto, nonostante gli sforzi a base di maschere compatte e trucco di Peg), né convenzioni da rispettare, per Edward conta solo l’affetto per le persone che gli hanno voluto bene e che lo hanno rispettato. Strano destino quello del ragazzo con le forbici come appendice: poco prima che gli venissero trapiantate le mani, il suo inventore/padre muore lasciandolo solo in un mondo per il quale non è assolutamente attrezzato (si pensi soltanto alla difficoltà per nutrirsi nel corso della prima cena a casa di Peg e Bill) e del quale egli, considerato il mostro, il diverso di cui diffidare, ha timore. Edward è pallido, di un pallore quasi da oltretomba, e contrasta apertamente con i colori pastello prepotentemente proposti all’interno della cittadina: il ragazzo è vestito costantemente di bianco (camicia) e di nero (pantaloni) e si sottrae anche simbolicamente dal gioco di sfumature e di atteggiamenti variabili che invece, altrettanto allegoricamente, gli abitanti della sgargiante città mostrano attraverso i loro vestiti, specchio fedele dei loro comportamenti.
O bianco o nero, Edward non è per le sfumature, se ama lo fa veramente, con tutto se stesso, anche al punto di sapere benissimo che quello che sta compiendo è un furto, ma, come ammette candidamente, continua nell’esecrabile impresa soltanto perché in un primo momento glielo aveva chiesto anche Kim. Altrettanto comprensibili, a questo punto, sono le reazioni del ragazzo, indifferente al fatto di distruggere tutto, carta da parati, gomme di auto parcheggiate, statue fatte con le siepi. Il candore di Edward appare incontenibilmente anche nelle reazioni spropositate: il ragazzo sa perfettamente cosa significhi abbandono ed esclusione per non apprezzare compiutamente un sentimento forte e devastante come l’amore per Kim, una figura che amerà per tutta la vita, al punto tale da continuare anche nella perpetua assenza della donna a creare quella neve – pure scorie derivate dalla creazione delle statue di ghiaccio – che segnalò irresistibilmente il loro amore prima dell’esclusione definitiva.
Giampiero Frasca

Da cinemaquattrostelle
Tim Burton rifiuta la richiesta della Warner di girare il seguito di Batman o di Beetlejiuce. Ha un'idea, un'immagine, più che un racconto già definito: un ragazzo con forbici al posto delle mani; era attratto dal tema di una persona che non può toccare niente senza provocarne la rottura o comunque il ferimento. La Warner rifiuta il progetto, non senza la soddisfazione del regista che, sentitosi costretto con la stessa casa di produzione dei film precedenti, è lieto di potersene svincolare. La Twentieth Century Fox accetta l'accordo, lasciando a Burton, e alla co-sceneggiatrice, Caroline Thompson (scrittrice di libri per bambini), la più totale libertà di movimento e scelta, di contenuto e mezzi. Così nasce Edward. Ma chi è Edward? Un giovane, apparentemente normale, se non fosse per il pallore pronunciato, il volto pieno di graffi, un abito alquanto strano, ma soprattutto delle forbici come mani. Scoperto da Peg, viene condotto via, lontano dal proprio spazio familiare; è un insieme di emozioni per il nuovo mondo: sorpresa,
curiosità, gioia, paura, incomprensione. non diversamente dagli abitanti della periferia, che ricevono l'arrivo dell'ospite con l'euforia sovraeccitata della comunità che vede l'intrusione di un elemento estraneo quale circostanza degna di essere vissuta come il più spettacolare degli eventi. La sua natura viene affrontata attraverso due differenti azioni: da una parte, appunto, il divertito e vagamente sadico accoglimento delle sue strane capacità; dall'altro, soprattutto nella figura di Peg, viene considerato oggetto sul quale applicare un processo di "normalizzazione", inevitabilmente fallimentare nel momento in cui l'entusiasmo iniziale per la novità, andrà volgendosi in incomprensioni e incidenti, originate dalla natura dissimile del protagonista. Edward è il "diverso", è l'intruso dei giochi enigmistici, l'elemento di disturbo nella consueta quotidianità della comunità, e per questo, dopo la curiosità, qualora le sue diversità provochino situazioni non di pericolo, ma anche solo di turbamento, fa paura, fa venire allo scoperto la bugiarda idea che sia membro a tutti gli effetti della cittadinanza, rivela la natura egoista e intollerante delle persone. Periferia come metafora dell'uomo, Edward come simbolo della diversità; discordanza sinonimo di interesse, fascino, divertimento, mai di appartenenza. La sequenza del talk show è illuminante. "Se avesse le mani sarebbe normale", "Se fosse stato come gli altri, nessuno avrebbe pensato che Lei è speciale": la dissomiglianza innalza a una posizione di visibilità ma, negativamente, mette nella condizione di minoranza, rischiando di portare all'intolleranza e all'incomunicabilità, sino alla conseguente solitudine. Edward, come alter ego di Tim Burton, capisce come la strada più semplice sia l'indirizzo segnato dalla società, eppure, riconoscendo nella propria natura l'impossibilità ad adeguarsi e, magari, a confondersi nella mediocrità della massa, infine se ne allontana. Il regista trasferisce le proprie insicurezze sullo schermo, offrendoci l'opportunità di riconoscere noi stessi in Edward o, all'opposto, nella collettività, che non condanna inesorabilmente, rispettandone pregi (serenità, attinenza), e comprendendone i limiti (faziosità, necessità di affidarsi a parametri ben delineati, paura e diffidenza per tutto ciò che se ne discosta). Il diverso è l'alieno. Il direttore di banca, rivolgendosi ad Edward: "Niente risparmi, nessuna assicurazione, nessuna garanzia, nessun investimento. Lei potrebbe anche non esistere". Chi non si uniforma non viene riconosciuto nemmeno come individuo, azzerandone in tal modo, le peculiarità caratteriali, e i diritti sociali e politici. La scelta spaziale coincide con la volontà di delineare, nell'immediato, visivamente, lo stato di cose. L'elemento che salta agli occhi è l'utilizzo delle tonalità pastello delle case ("verde schiuma di mare, color carne, burro, azzurrino"), delle auto che escono dai viali, i vestiti dei personaggi: dai più tenui colori alle possibili varianti di cromatismi accesi, soprattutto nella vicina ninfomane Joyce, e alla tendenza nel finale di un abbigliamento prevalentemente rosso e verde intenso. Questo risponde alla precisa esigenza dello scenografo, Welch, di trasmettere, proprio attraverso, l'eterogeneità di colori, uniformità ad ambienti, oggetti, persone. Il tentativo goffo di determinare una personalizzazione, di infondere l'idea di una diversità, almeno apparente, fallisce nel risultato di varietà ripetute, di gradazioni differenti, ma non troppo, in quanto riproposte regolarmente ogni 3/4 case, auto, abitanti, per di più contestualizzati all'interno di rigide linee guida, di sentieri già predisposti (vie, viottoli, geometrie). Secondo una concezione di spazio funzionale alla storia, l'insolita decadenza del giardino, l'aspetto oscuro e insolito del castello, costituiscono, in contrasto con l'imperante contesto pastello, l'unica nota di individualità. Edward è una favola. Ha l'atmosfera misteriosa nei titoli di testa, frammenti di strumenti, macchinari, uomini meccanici, forme particolari, stelle, cuore, cane. che saranno comprese solo alla fine del film. Il racconto prende inizio nella camera di una bambina, sdraiata in un letto troppo grande, all'interno di un ambiente volutamente non proporzionato alle figure umane. La vecchia comincia a narrare la storia di Edward, ed è come sfogliare un libro, leggere le prime righe, e vedere le pagine trasformarsi in immagini. Burton veste i panni dell'affabulatore, del racconta storie, e lo fa magnificamente, dando vita a una fiaba densa di mistero e poesia. Ma Edward mani di forbice è anche, e soprattutto, una storia d'amore. Kim è l'unica ad amare Edward, a non voler tentare di cambiarlo, apprezzandone le qualità. La sequenza più emozionante della pellicola, la danza della giovane sotto la pioggia di ghiaccio, nata dalle "mani" del protagonista, è l'apice dell'amore tra i due, più dell'abbraccio struggente che Kim chiede al ragazzo ("stringimi").lui che non può toccare senza distruggere. e più del primo, e ultimo, "ti amo". La danza sotto l'angelo è il culmine dell'amore: non sono mai stati, né lo saranno mai, così vicini. Edward e Kim, due anime innamorate, divise da pochi metri. separati, ma mai del tutto abbandonati, entrambi consapevoli dell'amore che li lega. Danny Elfman, collaboratore storico di Burton, accompagna con la musica il corso degli eventi: rende udibile l'emozione, l'avvenimento, il trasporto, il turbamento di ogni scena. Funge da metronomo delle immagini: tocchi lievi si alternano a improvvisi tonfi tonali; le ampie note delle sequenze d'amore lasciano il campo a intermezzi frammentati e discontinui. Tim Burton riesce a far convivere, in un equilibrio perfetto, romanticismo e comicità, tristezza e umorismo, poesia e morte, tenendoli stretti in un film che è un turbinio di emozioni, una girandola di impressioni sospese sullo schermo, un capolavoro di eterna memoria. Lo era IERI, lo è OGGI e lo sarà DOMANI

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